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Miluro

L'uomo Con L'impermeabile.

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Salve :D

Come consigliato da Ciuccio2000 ho spostato il mio racconto qui :D

Spero vi piacciano i primi due Sigilli. Ne arriveranno presto altri :D

Serratura del Sigillo Primo.

O Creatore

Che salvi l'anima del peccatore

La vista del cieco

Le mani del ladro

Sceglierai la spada affilata

del Caos

O lo scudo impentrabile

dell'Ordine?

Sigillo Primo.

Chiamata

All'inizio, era il caos. Profondo, oscuro e totale. Materia grezza si cristallizzava ai lati dell'universo, mentre ondate di Tempo fluivano dal rubinetto della creazione.

Caos. Elettricità nell'aria. Calore nelle vene. Era la vita, quella vera, che si spandeva come cioccolata per tutto il creato.

Poi, dopo un breve momento, il cosmo si riscosse: e così apparvero le Leggi. In un lampo fu l'Ordine, penetrante come una coltellata e freddo come l'acciaio: costrinse con gran forza pianeti a roteare, i soli a brillare e le galassie ad aggregarsi.

Ma qualcosa era rimasto: il Caos non era scomparso. Si era solo frammentato, per lasciare posto al fratello invadente. Cosicché, in ogni singola parte dell'universo, il Caos attendeva, manifestandosi sotto varie forme. Non aspettava altro che un momento, per liberarsi dalle catene e ribellarsi al suo caro fratellino, seduto sul trono traballante di re dell'universo.

Dopotutto, il dominio del cosmo è una questione di forza.

La perenne notte spaziale è nota per essere fredda in un modo sconcertante: appena tre gradi sopra lo zero assoluto! Eppure, in questa tremenda oscurità gelida, un piccolo pianeta chiamato Terra è riscaldato da una minuscola stella detta Sole. Questa palla di fango e roccia è famosa soprattutto per i tentativi che compie nell'esportazione di spazzatura: è risaputo, infatti, che attorno al campo gravitazionale terrestre passeggia una quantità di rifiuti superiore ai milioni di tonnellate. Questi rifiuti, forse colpiti da una forma di acuta nostalgia, finiscono spesso per ricadere a terra attratti dalla gravità: ciò significa che quasi tutte le notti è possibile vedere nel cielo luci sfolgoranti che attraversano la sfera celeste, benché nelle grandi città siano invisibili a causa dell'inquinamento luminoso. Nei luoghi più elevati ed isolati, però, le notti sono un viavai di linee fiammeggianti ed improvvise, che meravigliano quelli che non vi sono abituati, mentre d'altro canto gli osservatori abituali, di norma astronomi, non perdono certo tempo con stupidi meteoriti, ma anzi si lamentano perché questi ostruiscono loro la visuale su quella maledetta stella posizionata a Cosb¼ radianti che tentano di vedere da un mese a questa parte. Così, tra una meraviglia e un amarezza, nessuno si accorse che il pianeta stava per entrare in contatto con una meteora alquanto singolare: innanzitutto non bruciava, e ciò è perlomeno sospetto, specie se sei lanciato a più di duemila miglia orarie e ti stai velocemente sfregando a morte contro un solido muro d'aria. In secondo luogo, chiunque lo avesse fissato per più di un secondo si sarebbe ritrovato con un mal di testa da record: pareva quasi che l'oggetto avesse più vertici che lati, e che nella fattispecie fosse composto da tutti i colori, ma anche da nessuno. E in un momento sembrava una sfera perfetta, poi un quadrilatero, infine una figura inesprimibile.

Ma poiché nessuno l'aveva vista, e poiché un albero che cade in una foresta senza nessuno che lo ascolti non fa rumore, essa non aveva forma né colore alcuno.

Allo stesso modo, non produsse alcun boato assordante quando si schiantò, né uccise dei poveri indigeni di uno sperduto villaggio di cui l'uomo bianco non conosceva l'esistenza.

La terra però tremò, e miliardi di piccoli batteri condivisero la sorte degli indigeni che non esistevano, mentre il freddo dell'universo li congelava donandoli all'eternità. La brina prese a depositarsi sull'erba schiacciata, e cristalli di ghiaccio di uno o due metri crebbero dal terreno mentre l'umidità dell'aria diventava solida in eleganti fiocchetti.

Per la prima volta, nella foresta pluviale sudamericana, nevicava.

Tlac. Tla-tlac.

La ruota dell'orologio gira in mezzo ai singulti, con suono strozzato.

Tlac. Tla-tlac.

È il rumore che si genera quando l'ingranaggio è consunto, ma funzionante: esprime la personalità

dell'oggetto, e alcune volte anche quella del possessore.

Tlac. Tla-tlac.

“Allora” dice una voce nel buio, profonda “Che vogliamo fare?”

Dopo alcuni minuti, dal centro del meteorite risuonò un schiocco, come di travi sofferenti che danno l'impressione di doversi spezzare. Subito dopo il macigno venne risucchiato dal suo stesso centro, scomparendo con un sonoro pop e lasciando il posto ad una figura d'uomo particolare. Indossava un ampio impermeabile beige, e dei pantaloni color terra di Siena mentre sulla testa giaceva un borsalino d'annata anch'esso marrone, sullo stile degli anni di piombo, che possedeva la capacità quasi sopranaturale di celare i contorni del viso di chi lo indossava. L'unica cosa che si riusciva a notare sul volto di quell'uomo era un ghigno beffardo e terribile stampato tra naso e mento, che non trasmetteva la calda cordialità che avrebbe dovuto suggerire un sorriso: era più una smorfia maligna di derisione. Infine, proprio appiccicata a quel solco orribile a forma di bocca stava una sigaretta accesa: l'uomo la prese tra le dita, e soffiando liberò volute di fumo dalle narici , che voluttuose scomparirono nell'aria.

Quindi, tranquillamente, prese ad avanzare.

Maximus Willer si alzò dal letto con una profonda malinconia nello sguardo: odiava lasciare il mondo dei sogni. Forse era dovuto al fatto che la sua realtà gli faceva schifo, forse al fatto che solo in quei regni onirici si sentiva veramente vivo. Forse era solo un volere ciò che non poteva avere. Ciononostante si vestì in fretta, mangiò velocemente e corse al lavoro chiudendo la porta del suo piccolo appartamento. Anche il traffico complottava contro di lui: i taxi erano tutti imbottigliati in una coda mostruosa, e lo sfavillante edificio acciaio e vetro dell'Enterprise Solutions era a venti isolati da casa sua. Si ritrovò a dover prendere la metro, un mezzo che odiava poiché lo costringeva a stare a contatto con gente sgradevole, che non lo gradiva. Non erano le massaie irritate, ne i vecchietti lamentosi pieni d'acciacchi, ne tanto meno i ragazzini petulanti a provocargli la nausea che lo colpiva come un tir ogni volta che si sedeva sugli scomodi sedili del vagone sotterraneo. Erano gli affaristi di bassa categoria che Maximus non riusciva a sopportare: privi di mezzi propri e di sostanziali ricchezze, ma tuttavia convinti di essere superiori alla gente “comune”. Era il loro lavoro, dicevano, che faceva circolare il denaro: come se far girare qualche milione per conto d'altri fosse la cosa più importante del mondo, e stare vicino ai grossi capitali potesse renderli migliori! Ma in realtà, quale che fosse il lavoro con cui campavano, erano sempre e solo semplici uomini e donne, ne migliori ne peggiori degli altri sette miliardi che abitavano il mondo: eppure quella gente si sentiva obbligata da qualche ordine superiore a fissarti d'alto in basso, catalogando tutti i tuoi difetti e schedandoti come inferiore. Quando giunse alla sua fermata, Maximus fu grato a qualsiasi divinità in ascolto per la sua grazia e la sua benevolenza: finita la sua preghiera mentale, spinse la porta a vetri ed entro nella torre sfavillante dell'Entreprise Solutions.

Tlik-tlack

L'ingranaggio infine si sbloccò con un sonoro scok, e l'orologio tornò a posto. L'uomo si sedette sulla sedia in stile coloniale alle sue spalle: le pareti del negozio erano ricoperte di ninnoli e cianfrusaglie varie che davano nel complesso una sensazione di caotico vuoto al centro della stanza.

Era come se un anima in pena avesse disposto lungo gli scaffali polverosi file e file di spettri caleidoscopici e sofferenti, facendo però attenzione che ogni cosa fosse occultata dalla prima schiera di bamboline e teschi di ceramica e incensi. Una sensazione di pesante sofferenza aleggiò nella stanza mentre il vecchio dischiudeva un cassetto, ben occultato nella modesta scrivania in formica rigida dagli spigoli sbeccati. Lentamente estrasse una scatola di pero con un lucchetto di un metallo indefinito pesantemente decorato, che riusciva ad attirare l'attenzione anche in quella stanza piena di stranezze.

“Allora,“ esordì il vecchio, rivolto al suo interlocutore “ti ho chiesto cosa intendi fare.”

L'uomo nella penombra non rispose subito, ma dopo qualche minuto sussurò:

“Credo che tu sappia cosa farò”

“Non essere stupido!” sbuffò l'anziano “ E' ovvio che io sappia ciò che vuoi fare: te l'ho chiesto perché devi esserne sicuro anche tu. Quindi ti ripeto la domanda: che cosa intendi fare?”

L'uomo, dal suo piccolo angolo scuro, non esitò nemmeno un momento: “Tutto ciò che servirà”

Il vecchio sorrise.

“Non chiedo di meglio” disse, porgendo all'altro la scatola.

La repubblica di nuova formazione degli stati sudamericani era appena uscita dalla Guerra delle Libertà, quando i primi problemi vennero alla luce con violenza: la povertà, la disoccupazione, le malattie, le violenze delle forza naturali e le minacce degli stati a nord erano solo alcune delle pressanti richieste d'attenzione che assillavano la camera del senato. Ovviamente l'opinione pubblica era stata messa subito a tacere e i maggiori giornali erano sottoposti ad una attenta censura, che non risparmiava nemmeno la più insignificante inserzione o il più dubbio tra i doppi sensi. Era rinata inoltre la politica del “Mors tua vita mea” adottata dai regimi più totalitari: chi avesse fatto la spia su i possibili “ribelli”, averebbe goduto di misere gratifiche e di un aumento sulle razioni di buoni-pasto. Fu così anche la Repubblica degli Stati Sudamericani entrò di diritto a far parte di quel gruppo di buffi scherzi politici che si chiamavano repubbliche ma che mettevano a morte i cittadini senza processo per reggersi in piedi: come se non fosse abbastanza, oltre alle molteplici piaghe, alle debolezze del dopoguerra e alle minacce interne, il governo aveva un altro problema, che sebbene meno manifesto sarebbe stato ben presto molto più immediato e pressante. I primi a capire che qualcosa non andava furono il sergente Romero e il sottotenente Mirinez della stazione di smistamento informativo K-43: il sedici dicembre dello scorso anno, l'accampamento a nord denominato J-32 avrebbe dovuto comunicare il suo stato, come ogni giorno, alle ore 16:00. Non lo fece, ne quel giorno ne i successivi. Cosa che accadde anche per gli avamposti L-76 e V-12. Quando la prima squadra di controllo fece la ronda nei pressi delle tre stazioni, scomparve misteriosamente senza preavviso: il giorno successivo fu inviato il plotone Delta-Tango, e ciò che riferì il capo-spedizione è riportato qui di seguito in forma integrale:

Oggetto:Rapporto del maggiore Tiél Ramirez, capo-spedizione del plotone Delta-Tango

Data: 3/1/

Numero: 234-BIS

Nella data odierna, in conseguenza agli ordini impartiti dal quartier generale sotto il comando dell'onorevole Juan Dìaz Sagrado, il plotone Delta-Tango, guidato dal sottoscritto maggiore Tiél Ramirez, ha compiuto un azione di ricognizione e salvataggio nel settore BRAVO[22] negli avamposti:

*J-32;

*L-76;

*V-12.

Il file dell'operazione è situato negli archivi statali E-34, sezione 12-54-12, sottosezione 9-BIS: nome in codice dell'operazione “Coda di fenice”.

Alle 9:00 l'intero plotone è entrato in contatto con la stazione K-43 per rifornimenti e chiarimenti rispetto alle direttive di missione: qui il sotto tenente Mirinez ha informato gli uomini dei fatti relativi alle date 16-17-18-19/12/ .

Dopo la comunicazione dei dati di servizio, l'intero plotone si è mosso alla volta dell'avamposto più vicino, il J-32: il complesso presentava parecchi danni, i muri erano sfondati o crollati, mentre alcuni veicoli erano come smembrati. I soldati di istanza a J-32 erano tutti morti, per la maggior parte a causa della rimozione di uno o più arti. I corpi erano in avanzato stato di decomposizione, il che fa supporre che il momento della morte coincida approssimativamente con l'interruzione delle trasmissioni.

L'intero complesso era attraversato da una scia di devastazione che seguiva una linea retta: il percorso proveniva dalla radura ad est dell'avamposto, proseguendo nella boscaglia a ovest, la quale era disseminata di alberi caduti e tronchi spezzati proprio in prossimità della suddetta linea.

Dopo la ricognizione tutti gli uomini sono stati ricondotti alla stazione K-43, per il riposo e la cena. L'operazione non proseguirà oltre, questo ad adito di due motivi:

*gli uomini sono troppo spaventati per proseguire;

*gli avamposti L-76 e V-12 sono in linea retta rispetto all'accampamento J-32, e i fatti a cui oggi ho assistito mi convincono a credere di sapere già il motivo per cui le comunicazioni si sono interrotte.

Terminato quindi il rapporto, mi rimetto all'autorità del quartier generale, a cui tuttavia consiglio di far sgomberare i centri L-98 e F-19, entrambi connessi agli altri da una linea retta.

Maggiore Tièl Ramirez

La foresta, antica quanto il mondo, in genere era silenziosa. Ma in essa non regnava il silenzio comune, che si ottiene quando mancano i suoni: era, invece, quel silenzio più raro che può nascere solo dal tentativo di non fare alcun rumore. Quella quiete, così densa e compatta, nasceva dal desiderio di vivere che anima tutte le creature: ognuna di esse infatti, doveva nascondersi sia dalle prede che dai predatori. La vita era una gara d'astuzia, in cui nemmeno il più feroce giaguaro poteva permettersi di essere troppo spavaldo.

Eppure, in quel momento, nella foresta regnava un silenzio ancora diverso: quello che nasce dal terrore, quando la preda sa di essere stata scovata, e si nasconde nella speranza che il predatore si dimentichi della sua esistenza. In quell'innaturale vuoto sonoro, qualcosa di terribilmente innaturale procedeva in linea retta, trapassando ogni masso posto sulla sua strada ed abbattendo ogni albero che avesse avuto la sfortuna di essere cresciuto lungo il suo percorso . Nessuna belva, nemmeno la più feroce, tentava di assalire quello che, in altri contesti, sarebbe stato niente più che un bocconcino di ristoro tra una pasto e l'altro.

Niente fermava l'uomo con l'impermeabile, che con passo svelto e tranquillo procedeva terrorizzando pappagalli e licaoni, iguane e rospi, toporagni e moffette. Nessuna animale era sfiorto dal pensiero di aggredire quel tenebroso sconosciuto, perchè essi vedevano con più viste di quelle che hanno gli uomini, e quindi erano in grado di capire chi fosse realmente. Eppure, ad un tratto, un giovane giaguaro saltò dai rami più alti di un gigantesco albero, tentando di balzare sulle spalle di quell'essere fuori posto: con uno schiocco sonoro, la testa gli si staccò dal busto e ruzzolò al suolo con un tonfo, mentre il tronco perse la spinta e crollò come una marionetta dai fili tagliati. Qunado la testa toccò il terreno, gli occhi del giaguaro riuscirono ad intravedere le spalle di un serafico uomo con l'impermeabile che continuava ad avanzare in linea retta. Un pensiero attraversò come un fulmine la mente del felino, mentre gli ultimi sprazzi di vita andavano a cristallizzarsi ai lati del suo cervello.

Non si era girato. Non si era nemmeno girato!

Quando anche l'ultima cellula della giovane belva si spense, l'uomo con l'impermeabile era ormai arrivato al limitare della giungla, dove senza motivo cominciava il deserto: era come se qualcuno avesse accostato senza criterio alberi lussureggianti ed una landa brulla e desolata, sferzata dai rapaci raggi del sole. Il calore colpiva con la stessa violenza di una mazza ferrata il corpo dell'uomo, mentre torride folate di vento facevano sventolare le ampie falde del soprabito. Si girò un ultima volta per contemplare la natura lussureggiante alle sue spalle, quindi con uno sbuffo di fumo oleoso si staccò la sigaretta dal ghigno, facendo si che della cenere si depositasse al suolo: il baluginio delle scintille presto divenne il serpeggiare delle fiamme, e avvolse tutta la foresta divorando i tronchi centenari. Incurante dell'inferno alle sue spalle , l'impermeabile si incamminò nell'inferno davanti a lui.

Serratura del Sigillo Secondo

Noi siamo Demoni

Figli del fuoco

Bestie infernali

Noi che viviamo del terrore

Moriamo di paura

All'avanzare dell'uomo

Sigillo Secondo.

Inferno.

Le auto rombavano cupe, mentre la pioggia scendeva come una tortura su un brulicare tormentato di creature umane. Il cielo grigio si stagliava all'orizzonte promettendo un futuro incerto all'umanità, la quale, ovviamente, se ne fregava.

Maximus entrò nel palazzo argenteo sulla quinta. Quell'edificio aveva avuto una storia lunga e strana: costruito nel 1945, aveva ospitato un ospedale chiamato "Maxime Maiestatis American" fino al 1958, anno in cui il vecchio e cadente edificio venne ristrutturato e adibito ad utilizzo come complesso di case popolari, il quale era denominato, nel carteggio del catasto, St.Maximia. Successivamente, nel 1987, era divenuto l'ufficio principale della più grande organizzazione internazionale telematica e informativa, oltre che industria tecnologica e computeristica: l' Enterprise Solutions, fondata dieci anni prima da un informatico ed ingegnere con radici tedesche, chiamato Maximilian Strauss. Questa organizzazione crebbe sempre di più negli anni, dedicandosi anche a campi illeciti, come lo sviluppo di armi di genere R-90, ossia gli armamenti atomici: benché con l'editto di Nottingham essi fossero stati proibiti in tutto il territori degli stati uniti e nell'unione europea,negli stati ancora belligeranti del Bazookistan essi era ancora largamente impiegati. Si dice che più del 30% dei profitti dell'Entreprise derivassero dal commercio di granate atomiche e RCW fissi per velivoli. Inoltre era appurato che la ditta stesse conducendo anche studi approfonditi sulle armi al plasma e i laser da combattimento: alcune fonti dichiaravano addirittura che stessero sperimentando il raggio di Tesla! Nessuna dichiarazione in merito fu mai fatta prima della guerra, né, ovviamente, dopo. Eppure, un certo Willer, anni dopo, giurò che quel progetto esisteva. Ed era l'unica speranza.

Le ombre si allungavano sulla superficie del deserto, la sabbia riluceva preziosa nel meriggio, focoso come il pianto dei demoni. Un suolo di polvere si estendeva in tutte le direzioni, infinito e paziente.

Un solo uomo camminava, con una calma orribile, lasciando dietro di sé una nuvola di perplessi granelli di sabbia. La sua scia fendeva, a mo' di ferita, altrimenti uniforme superficie arsa di ciò che, eoni prima, era stato un mare, in cui Leviatani oscuri e impossibili avevano regnato incontrastati. In quel luogo, arido quanto l'avidità, la vita era un lusso e il sostentamento un privilegio: eppure, chi avesse osservato l'uomo avanzare, non si sarebbe affatto meravigliato che non una creatura di quel posto dimenticato dagli Dei del Cosmo lo attaccasse. Era impossibile definire cosa ci fosse di inquietante, in quell'avanzatore esile, che marciava spedito, nel più torrido dei climi, calzando un ampio e profondo impermeabile: forse l'andatura o, magari, la sigaretta attaccata malevolmente al ghigno perfido, o, ancora, l'ombra che ne nascondeva i lineamenti, sebbene la sabbia riflettesse la luce come il più lucente degli specchi.

In ogni caso, era sconcertante. C'erano circa 50 gradi centigradi, una temperatura d'inferno, e quell'individuo passeggiava a ritmo sostenuto, con le mani perse nelle ampie tasche di un pesantissimo impermeabile beigè. Inoltre, ogni tanto, ridacchiava beffardamente, aspirando ampie boccate di fumo untuoso dalla sua sigaretta, che non accennava a consumarsi.

Perfino i granelli di sabbia, vecchi come il deserto stesso, in quanto erano il deserto stesso, erano scioccati, se non delusi: ai bei tempi, un misero essere umano si sarebbe accasciato morente dopo i primi dieci metri, se avesse provato ad attraversare il deserto.

Avevano forse sbagliato qualcosa? Erano forse impigriti dalla vecchiaia?

Spinti dall'orgoglio, alcuni granelli cominciarono ad avvilupparsi attorno alle gambe dell'uomo, per rallentarlo, mentre i loro fratelli rilucevano a più non posso, per far diventare ancor più torrida e soffocante l'aria del deserto. Tutto questo, però, non fermò il solitario pellegrino, che imperterrito avanzava. I granelli, quindi, cominciarono ad organizzarsi: alcuni diedero inizio ad enormi gorghi di sabbia, mentre altri si sforzavano di brillare più del sole stesso. Ma il viaggiatore non accusava i colpi, nonostante essi fossero così terribili. Allora, con una rabbia capace di spezzare i diamanti, l'intero deserto si alzò: grandi cascate di sabbia correvano verso il cielo, mentre un gigante incandescente prendeva vita, animato da propositi di morte. In pochi minuti, un mostro di polvere e calore si ergeva, mastodontico, dove prima c'era il deserto, pronto per schiacciare quell'impudente umano.

L'uomo con l'impermeabile si fermò, aggiustandosi la sigaretta. Quindi, giratosi, alzò il cappello, così che il mostro potesse vederlo negli occhi.

Bastò uno sguardo.

In un istante tutto il deserto capì. La sabbia crollò verso il terreno, impattando con violenza.

E per la prima volta, dopo secoli di assoluta immobilità, l'aria del deserto si mosse, e un vento spirò dolcemente, portando via con sè alcuni granelli, come per gioco.

A poco a poco, disperato e terrorizzato, il deserto tentava la fuga.

Fu per uno scherzo del destino, o per un'oscuro disegno, che nel 1997, all'età di vent'anni, Maximus Willer venne assunto con impiego stabile alla Enterprise Solutions, dopo essersi laureato a pieni voti in ragioneria: incredibile come tutte le tue aspirazioni scompaiano una volta fuori dall'università. Questo fu il primo pensiero di Maximus quando pose per la prima volta piede nella granitica e mastodontica struttura che sarebbe diventata il suo posto di lavoro. File e file di cubicoli uguali e grigi riempivano 38 dei 50 piani di quel mastodontico monumento alla produttività ottusa, a cui il giovane si era votato inconsciamente e controvoglia: centinaia di persone uguali, identiche, che sfilavano ogni giorni davanti agli scanner anti-terrorista, mangiando alla mensa aziendale e portando a casa come “ricordo” vari oggettini dal posto di lavoro. Migliaia di giorni identici, privi di significato, si susseguivano come gocce di pioggia oleosa nel più patetico temporale del mondo, lavando via a poco a poco quel rimasuglio di dignità che serbavi in fondo al cuore, gelosamente. Naturalmente, a quell'epoca di questo non sapeva nulla, e nemmeno arrivava ad immaginarselo: se solo ci avesse pensato, continuava a tormentarsi.

Se solo ci avesse pensato.

Solo quando giunse dinnanzi a una roccia rossa e arcuata, dai contorni che trasudavano una repulsione insolita, sconosciuta al mondo mortale, l'uomo con l'impermeabile smise di avanzare.

Davanti a lui si ergeva un portone dagli intarsi magnifici e perversi, con immagini di una scelleratezza tale, che solo Satana in persona poteva esserne stato il creatore: era di un legno speciale, nero come la notte delle streghe, con venature rosso sanguigno.

I cardini e le giunture erano di un metallo che non somigliava a nulla di esistente sulla Terra, un incubo di metallurgia e stregoneria, che nei secoli aveva straziato, con il suo misterioso anatema, milioni vite. Era la porta dell'Inferno.

Era più vecchia del tempo stesso, e nel corso di svariate eternità, aveva visto decine di miliardi di mondi implodere e innumerevoli dannati venire martoriati nella più cieca oscurità.

Ora, quasi a sfidarla, un misero umano era venuto sino al suo cospetto. E la fissava, a mo' di scherno.

Ora si avvicinava, quello stolto!

Si apprestava ad appoggiare la mano sulla superficie di quell'ebano infero e malvagio: avrebbe pagato molto caro questo suo ardire!

La porta che nessun mortale mai varcò in vita si preparò, gustando mentalmente tutti i particolari che avrebbero seguito il contatto tra lei e la mano di quell'idiota.

Le due superfici erano sempre più vicine, sempre più vicine, finchè non si toccarono, e...

E non accadde nulla.

Semplicemente, l'uomo con l'impermeabile si ritrovò poco più avanti, nei tunnel che conducono all'eterna disperazione del creato.

Dietro di lui la porta dell'Inferno, smembrata, lentamente si tramutava in polvere.

Non era l'uniformità a disgustare Maximus: era la noia. Densa e collosa, come bava di lumaca fermentata al sole di luglio, scorreva nelle sue giornate e corrompeva ogni cosa, la rendeva grigia, inutile, vuota. Aringhe sottolio e stupidi talk show, feroci discussioni sul pianerottolo e maledizioni digrignate tra i denti, uggiolii sommessi e clacson assordanti si confondevano come macchie in un denso orrore di indescrivibile ripetitività senza fine. La sensazione di essere intrappolato in un gigantesco vortice da cui è impossibile scappare: l'eterna fuga da se stessi in un oceano di monotonia illimitata. Tutto ciò può sembrare impossibile, se non assurdo, senza un esempio per fare confronti: immaginate una domenica pomeriggio, in cui non avete voglia di fare nulla. Fa caldo,l'aria è ferma ma non irrespirabile. La polvere fluttua tra i raggi che filtrano da una tapparella semi socchiusa, in una danza sempre uguale a se stessa. Fermate il tempo ora, mentre sentite la noia diventare orrore, e immaginate un eternità in cui ogni momento è questo momento.

Un grido muto sale per la vostra gola, ma non potete urlare: nessuno vi sente. Siete soli in un mare di nulla uniforme, in cui nuotate senza convinzione verso nessuna meta. Benvenuti nella vita di Maximus.

Le pareti rocciose erano un enigma di grida animalesche, cori astrali, in cui arti smembrati ed eterei si agitavano in preda al tormento ultimo dell'anima. Tutti i sensi erano martoriati con crudeltà, fino a cedere su se stessi, e gli occhi delle anime versavano acide lacrime di sangue, mentre dalle orecchie fuoriusciva una poltiglia grigio-azzurrina che un tempo era stata la loro mente.

Poi, una volta uscite dall'antinferno, le anime, tremanti come foglie nella bufera delle passioni, venivano fustigate con cinghie di acciaio dagli uncini ricurvi e ardenti, finchè non giungevano, sospinte nel fango miasmatico dai loro immortali carnefici, fino alla riva dell'Acheronte. Qui, erano legate con cilici ai remi, e portate all'atra riva che le avrebbe condotte alla dannazione eterna.

I gironi contenevano punizioni odiose, adatte ai peccati commessi, e più essi erano gravi, più si sprofondava nelle tenebre impietose, fino a raggiungere il Demone delle Notti Oscure, il Signore dell'Eterna Afflizione: Lucifero! Il suo aspetto era così miserevole e orrido, che nemmeno radunando i più perversi maniaci dell'umanità in un unico luogo si sarebbe potuto descriverlo con una parola differente da:<< þਉไ美!!!>>. Il suono della sua voce poteva rendere folle il più sano degli esseri, e una sola sillaba bruciava la pelle come soda caustica. Aveva trascorso i millenni nel buco sul fondo degll'Inferno, amministrando i demoni minori, progettando le pene per i dannati, masticando Bruto, Cassio e quel simpaticone di Giuda, e in sostanza, mandando avanti la baracca. Ora, dopo innumerevoli eternità, davanti a sè era giunto un mortale: un uomo con l'impermeabile. Che lo stava guardando, con un mezzo sorriso stampato sul volto. Allora, con l'ingannevole passo di una cometa, Satana disse:

CHI SEI TU?

L'uomo con l'impermeabile non rispose. Lentamente, portò la mano alla bocca, prendendo tra le dita la sigaretta.

La lasciò cadere.

Fu un lampo: la sigaretta, toccando il suolo, brillò un ultimo istante, illuminando un cadavere martoriato, che vomitava un icore nero da tagli e lacerazioni, i quali segnavano orribilmente quella macabra figura. Pochi minuti dopo, l'uomo con l'impermeabile si affacciò sul deserto, ripulendosi, da un liquido nerastro e viscoso, una manica del vestito.

Se solo Maximus avesse saputo cosa lo attendeva di lì a poche settimane, avrebbe benedetto quella noia: l'avrebbe amata, adorata, accolta in se stesso come il più grande dei tesori. Ma, per sua sfortuna, non sapeva un bel niente di quello che gli sarebbe accaduto. E l'ignoranza è la colpa peggiore, in questi casi. Perchè quando ciò che doveva accadere accadde, Maximus era impreparato.

In guerra, l'impreparazione è la prima causa di morte.

L'uomo con l'impermeabile attendeva, inspirando profondamente. Un occhio inesperto avrebbe detto che stava riposando. Ma, in questo caso specifico, un occhio che avesse avuto la sfortuna di osservare l'impermeabile tanto da vicino da perdersi in questi ragionamenti, sarebbe probabilmente rimasto ucciso. Una volta che ebbe finito la sigaretta, l'orribile uomo la gettò.

E ridendo corse nel deserto, verso le montagne. Verso Dio.

Serratura del Sigillo Terzo

Le scale del Paradiso

Le lacrime di Dio

I pianti del Santo

Eh già, siamo poveri mortali.

Serratura del Sigillo Quarto

Tagliami, strappami, spezzami

Torcimi, sventrami, squartami

Distruggimi, eliminami, bruciami.

Io ritornerò, comunque.

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Usa questa immagine come "copertina" secondo me ci sta bene :ahsisi:

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Usa questa immagine come "copertina" secondo me ci sta bene :ahsisi:

Grazie per l'idea, ma nella mia mente ha un aspetto molto diverso. :asd:

Ma mi ha fatto piacere l'interesse, davvero :D

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Ma che dite,l'unico uomo con l'impermeabile è lui:

kiriyamapu6.jpg

Scherzi a parte ho letto la prima. Mi piace molto come è scritta :sisi:

*Non fa commenti per non turbare il pensiero di Howl*

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Non mi piacciono i suoi racconti! Riempiamolo di +1|

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Non mi piacciono i suoi racconti! Riempiamolo di +1|

Massy pls...

Ma che dite,l'unico uomo con l'impermeabile è lui:

Scherzi a parte ho letto la prima. Mi piace molto come è scritta

Leggi pure il secondo :asd:

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Aggiunte le serrature dei primi tre sigilli.

Commentate e fatemi sapere cosa vi piace e cosa no :D

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Ma che dite,l'unico uomo con l'impermeabile è lui:

kiriyamapu6.jpg

Scherzi a parte ho letto la prima. Mi piace molto come è scritta :sisi:

Lui e quello schifoso impermeabile che dona superpoteri!

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Modificata la serratura del terzo sigillo (in realtà era la serratura del quarto D:)

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