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Miluro

Una Fiaba Nera.

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Attenzione. Il racconto contiene moderate descrizioni di scene gore. Se ritenete che possano offendervi o non essere adatte alla vostra sensibilità, chiudete la pagina.

La Morte Di Jaquè

Un semplice ragioniere. Una persona perfettamente comune. Un nessuno.

Questo descriveva in massima parte Jaquè Lindals. Un numero, un mero individuo nella statistica del mondo: un elemento di media, che appianava i picchi degli estremi. L'acqua dell'umanità, il sale della terra. Comune come il carbonio, semplice come l'idrogeno.

Vuoto.

Una vita grigia, ogni giorno identico al precedente e al successivo, una moglie sempre tiepida e una figlia in tutto e per tutto fotocopia delle sue amiche. Una famiglia perfettamente tranquilla, comune e inessenziale.

Comparse sul grande palco della vita, di quelle che vengono prese per interpretare lo sfondo. Nessuno spessore, nessuna storia, nessuna vivacità. Una perfetta noia.

Il Nirvana.

E lui, Jaquè, ne era felice: decenni di argute preparazioni per ottenere quella quiete, quello speciale distillato d'apatica e patetica esistenza che era sempre stato il suo solo motivo d'essere. La donna giusta, la giusta casa, il giusto lavoro e la giusta figlia: una vita per giungere a quel equilibrio di nulla cosmico che era a sua vita.

Ne era davvero valsa la pena: la consapevolezza di un opera perfetta è sempre gratificante.

Ci fa sentire ineguagliabili, vivi. Ci rende Dei.

Ed ora l'ultimo tassello era a posto.

La morte.

Come nel più classico dei copioni, la rapina nella banca di Jaquè stava degenerando: era chiaro che quasi tutti gli ostaggi sarebbero stati uccisi. Una morte molto comune, una morte in mezzo a persone comuni in una situazione per nulla straordinaria.

Un clichè di morte per un clichè di vita.

La sparatoria era iniziata: chiudendo gli occhi, attese il proiettile.

Che non arrivò.

La polizia era arrivata e aveva abbattuto gli aggressori: Jaquè era l'unico superstite.

Davanti agli occhi gli scorse immagini spaventose: interviste, inviti ai salotti TV, libri su di lui, documentari, visite turistiche, autografi e celebrità. Il lavoro meticoloso di una vita distrutta nel corso di pochi secondi a causa di sciocchi poliziotti in anticipo sul tempismo?

La rabbia invase la mente di Jaquè: raccolse con noncuranza la pistola di uno dei rapinatori, mentre due poliziotti lo aiutavano ad alzarsi.

Meccanicamente, alzò il braccio: metà del cranio del primo tutore dell'ordine venne spappolata nel casco.

Il secondo fece per prendere l'arma, ma il gomito di Jaquè gli si conficcò nella gola: con una leggera torsione degli avambracci, il ragioniere gli spezzò il collo.

Un terzo povero sfortunato stava alla porta, stordito dall'accaduto: uno sbaglio imperdonabile.

Subito Lindals fu su di lui, con le mani furiose che laceravano il giubbotto antiproiettile ad unghiate: pochi secondi e il sangue prese a sgorgare dal petto del pover'uomo, mentre un piccolo cumulo di frattaglie andava a depositarsi nelle sue vicinanze. Alla fine di lui rimase ben poco da restituire alla terra.

Nel frattempo Jaquè, scapigliato e ricoperto di sangue, correva impazzito per i corridoi della banca: poi, non si sa come, trovò l'uscita. Un paramedico fece l'errore di tentare di soccorrerlo: il suo ventre venne attraversato dalle minute braccia del ragioniere, che lo squartarono facilmente.

I poliziotti erano attoniti: una scena del genere era assolutamente impossibile. Doveva essere un sogno.

Le prime file capirono presto che non c'era nulla di più reale di quell'uomo magrolino ed assassino.

I primi spari, come canti silenziosi, divennero ruggiti possenti di fucili e pistole: Jaquè schivava tutto. Alcuni servitori della legge vennero brutalmente tranciati a metà, altri videro i loro corpi prendere strade diverse dalle loro teste, altri ancora ebbero un attimo di smarrimento mentre i loro arti tranciati venivano usati per picchiarli a morte. Alla fine, non rimase nessuno.

Un lago di sangue e cadaveri si era formata davanti alla banca, come il macabro dipinto di un folle artista. Madido d'ira, Jaquè si dimenava come folgorato sul marciapiede rossastro e rancido.

La sua smania non accennava a svanire, e presto cominciò a picchiare tutti gli oggetti che vedeva: tombini, cestini, auto, muretti. Tutto era preda della sua ira.

Dopo poche ore le sue braccia pendevano inerti, con le ossa completamente frantumate: in quel momento stava molestando un palo della luce prendendolo a testate.

Con le ultime energie, prese la rincorsa e si schiantò addosso all'ormai ricurvo metallo del pregiato arredamento urbano.

Finalmente distrutto, il palo si spense.

Ed insieme a lui, il mondo di Jaquè.

Un piccolo raccontino scritto in un momento di noia :asd:

Fatemi notare gli errori di ortografia, che li correggo :D

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Ti adoro, scrivi divinamente.

Devo ricominciare anch'io, magari mi dai qualche consiglio :ahsisi:

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Per dimostrare l'apprezzamento mettiamogli dei -1 ...altrimenti fate lo stesso :asd:

Ti adoro, scrivi divinamente.

Devo ricominciare anch'io, magari mi dai qualche consiglio :ahsisi:

Grazie mille per i complimenti :D

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